Madonna dell’Olmo, 16 dicembre 2014
Il mio ricordo del Natale
Tra pochi giorni si avvicina il Santo Natale e per quelli della mia età, nati alla fine degli anni ‘30, questa festa è un tuffo nel passato quando la ricorrenza veniva vissuta necessariamente in forme diverse, vuoi per gli scarsi mezzi economici a disposizione delle famiglie e vuoi soprattutto perché a quel tempo mancava la televisione, uno strumento che ha sconvolto e oserei dire azzerato usi e costumi.
Vivo a Cuneo dal 1963, la mia abitazione è tra Madonna dell’Olmo e Passatore, però non sono in grado di dire come veniva vissuto il Natale in queste due frazioni.
Quando parlo, di questa grande festa liturgica, con amici e vicini di casa, mi viene sovente chiesto come era vissuto il Natale al mio paese natio che si chiama Altavilla Irpina ed è situato in provincia di Avellino dove sono nato e vissuto fino all’età di 20 anni.
Dai miei ricordi traggo queste note che voglio segnalare a quei lettori curiosi di conoscere usanze e costumi.
Ad Altavilla Irpina e sicuramente nella quasi totalità della Campania, negli anni ’50, si faceva il presepio e non l’albero di Natale.
Il presepio veniva costruito con il muschio, corteccia d’alberi e pietre seguendo delle regole precise.
La grotta con Gesù Bambino veniva posizionata sempre a sinistra cioè ad ovest o ponente.
I Re Magi: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre sempre a destra cioè ad est o oriente o levante mentre il castello del Re Erode veniva posizionato tra i Re Magi e la grotta di Gesù.
I doni ai bambini non arrivavano a Natale ma alla Befana, non erano giocattoli ma torroni, caramelle, mandarini e per chi durante l’anno non era stato ubbidiente un pezzo di carbone a volte quello vero e a volte quello fatto di zucchero!
I cibi che si mangiavano a Natale erano quelli dettati dalla consuetudine ed erano di due tipi quelli che si mangiavano alla vigilia, cioè alla sera del 24 dicembre, e quelli del pranzo del giorno di Natale il 25.
Alla “cena della vigilia” il menu era a base di pesce.
Difficilmente mancava l’anguilla; le cucine più attrezzate, o per meglio dire chi aveva più possibilità economiche, aggiungevano il capitone (è un’anguilla più grande) e il sempre presente baccalà.
Importante che le pietanze fossero nove, un numero che doveva ricordare i giorni della novena di Natale che come si sa vanno dal 16 al 24 dicembre.
Durante la “cena della vigilia” si verificava un fatto che era specifico delle feste di Natale: prima della cena, sotto il piatto del Papà, tutti i figli mettevano, di nascosto, una lettera dove ognuno aveva scritto che prometteva di essere, da quel giorno, più buono.
Le lettere venivano lette dal Papà e ascoltate con molta attenzione da tutti i commensali, seguiva la recita delle poesie dei figli più piccoli.
Dopo lo scambio degli auguri aveva finalmente inizio la sospirata cena.
Al pranzo di Natale era consuetudine mangiare il “cappone” e la “lasagna piena”, chiamata così perché era arricchita anche da mozzarelle, prosciutto, polpette di carne e uova sode.
Il dolce natalizio non era il panettone, quello alto inventato a Milano dal pasticciere Motta, che arriverà al Sud Italia soltanto alla fine degli anni cinquanta, ma le zeppole e gli struffoli che sono i classici dolci campani.
Le zeppole venivano fatte in vari tipi, le migliori per i bambini erano quelle ricoperte di miele.
Le zeppole venivano cotte con la classica forma di piccola ciambella e sovente avevano la forma delle lettere dell’alfabeto, la mia zeppola preferita era evidentemente a forma di “G” che è la prima lettera del mio nome!
Altri dolci erano: il “Torrone del Papa”, dolcissimo, di colore bianco e pieno di canditi e per finire il mostacciuolo che aveva la forma di rombo di colore marrone lucido, non tanto dolce ma morbido e saporito dal gradevole profumo di anice.
Dopo la cena della vigilia era usanza giocare alla tombola o il mercante in fiera.
Si smetteva di giocare per andare ad assistere alla “messa di mezzanotte”.
Durante la messa, un avvenimento che contribuiva a creare l’atmosfera natalizia era la stella illuminata da moltissime lampade che attraversava, scorrendo su un filo, tutta la chiesa dall’ingresso fino all’altare.
Questo momento emozionante era seguito da tutti coloro che partecipavano alla messa mentre la Schola Cantorum Altavillese di quel tempo intonava all’organo il famoso e antico canto natalizio “Tu scendi dalle stelle” di Alfonso Maria de’ Liguori (scritto a Nola nel 1755), accompagnato dai giovani cantanti del nostro paese dalla voce possente.
Dopo il pranzo di Natale si stava tutti insieme ripetendo il gioco della tombola”.
Come avrete notato il “consumismo” attuale ha cancellato tutto ma non ha cancellato i piacevoli ricordi della mia infanzia.
Gennaro Russo
gerusso@hotmail.com