Capri, Positano e Amalfi: bellezze e storia.
Dopo molti anni, sono tornato in Campania la regione dove ho trascorso i primi 20 anni della mia vita. Ho potuto così rivedere, insieme alla mia famiglia i luoghi delle mie prime vacanze eccellenti: Costiera Amalfitana e Capri. Negli anni sessanta, la “Costiera” era per noi giovani di allora provenienti dalla provincia d’Avellino, pochissimi appena motorizzati con la Lambretta o la Vespa, lo sbocco naturale per trascorrere una giornata di mare alla ricerca di quel mito romantico che ancora oggi resiste, per nulla usurato dai mille e mille viaggiatori che giungono da ogni dove alla ricerca della luce e delle magie di questa costa forse unica al mondo.
In questa vacanza ho veramente apprezzato come è veramente bella la nostra Italia.
Il viaggio ha avuto inizio di primo mattino da Silvi Marina, con un taxi abbiamo raggiunto Pescara dove ad attenderci c’era un pullman che ci avrebbe condotto a Napoli, al ritorno, abbiamo utilizzato, il treno diretto Napoli Pescara, in questo modo abbiamo potuto ammirare una buona fetta del territorio abruzzese: paesaggi a volte molto somiglianti alle Alpi, catene montuose imponenti dove però ai piedi delle pareti rocciose cresce l’ulivo e si estendono pascoli verdissimi. Poi una vera sorpresa, che non trova nessun paragone con le Alpi occidentali, abbiamo attraversato le “conche intermontane” in pratica delle zone, sopra i 1000 metri di quota, perfettamente pianeggianti, circondate da catene montuose. Due sono le conche più significative, la prima collega Campo di Giove con Rivisondoli con il piano delle cinquemiglia la seconda Rivisondoli con Roccaraso.
La strada che da Sulmona porta a Roccaraso e Castel di Sangro, ricordo che siamo tra i 1000 e 1250 metri di altezza (in questi paesi si arriva anche in treno), è una superstrada gratuita e molta comoda, vince di gran lunga i paragoni con la Ceva Savona e nei confronti la strada della valle Roya è ancora una mulattiera.
Con il pullman siamo arrivati davanti alla stazione ferroviaria di Napoli dove il caos è sempre la normalità. Attraversando la città, abbiamo notato, che la maggior parte delle auto ha vecchie targhe quindi a Napoli non si sono visti gli effetti della rottamazione.
Al molo Beverello del porto di Napoli prendiamo l’aliscafo e in 50 minuti siamo a Positano.
Molti anni fa chi arrivava a Positano per mare, notava, in questo paese, il silenzio, interrotto soltanto dal ticchettio delle macchine per scrivere, dalle note di un pianoforte, dai rumori leggeri dell’attività dei tanti artisti (scrittori, musicisti, pittori) che avevano scelto il paese come patria: per la sua gran bellezza e segretezza, perché costava poco e la gente era cortese.
Adesso i rumori corrispondono al mutamento subito dal paese nel corso del tempo: non più feudo delle nobili famiglie napoletane, non più luogo d’elezione di un’élite cosmopolita d’artisti, intellettuali e aristocratici, bensì centro di turismo balneare non di massa perché il paese che si erge contro il monte è veramente piccolo.
Nonostante le dimensioni ridotte, Positano nell’antichità (I secolo d.C.) macinava con il suo mulino la farina e impastava il pane che veniva portato con la trireme ogni giorno a Capri per la mensa dell’Imperatore Tiberio, timoroso di essere avvelenato con quello di Capri.
Attualmente a Positano vengono realizzati artigianalmente tessuti dai colori vivaci, borsette fatte a mano, sandali e la vera novità rispetto agli anni sessanta è la lavorazione del limone. Con questo agrume, vero simbolo della Costiera, vengono preparate: creme, confetture e l’ormai noto liquore “limoncello”. Ricordo che questo liquore è tratto dalla buccia del frutto di limoni, apprezzato già agli inizi del secolo scorso e divenuto, col passare del tempo, una vera moda tanto che ormai viene servito nei ristoranti e nelle enoteche. Ha il colore del sole, il profumo intenso e delicato del limone, una gradazione di 33° e piace perché lo si può bere come digestivo, fuori pasto o in aggiunta al gelato, va però conservato in frigo e ci dicono consumato entro tre mesi dall’imbottigliamento. C’è stato inoltre segnalato che per un litro di limoncello si utilizza la buccia di sei limoni di quelli non trattati chimicamente.
Utilizzando sempre il comodo e veloce aliscafo nei giorni successivi abbiamo visitato Capri.
Da qualche parte ho letto che “c’è più storia e mito in una piccola onda del Mediterraneo che nelle acque di tutti gli oceani”. Ebbene di questo mare Mediterraneo così pieno di memorie l’isola di Capri è sicuramente la “perla” nonchè il luogo dove natura e bellezza si incontrano, dove mito e storia ci parlano ancora.
Le sue rocce, belle quanto il mare che le circonda, furono abitate all’inizio dei tempi dall’uomo della preistoria. Gli Imperatori, signori del mondo, Augusto e Tiberio (dal 26 al 37 d.C. amministrò l’impero da Capri!), ne fecero il loro rifugio prediletto, e vi eressero splendide ville, cisterne, piscine e giardini i cui resti ancora si possono ammirare. Le sue rupi strapiombanti da picchi altissimi sono i paesaggi che Omero aveva cantato nell’Odissea, le bianche spiagge dove Ulisse aveva visto le sirene e ne aveva udito il canto.
Per descrivere le altre bellezze di quest’isola credo sia sufficiente accennarle: i tre Faraglioni alti rispettivamente 110, 104 e 81 metri enormi monoliti calcarei che testimoniano milioni di anni di eventi tellurici ed erosivi, la Grotta Azzurra conosciuta al tempo di Tiberio, che ne aveva fatto un ninfeo marino, la via Krupp costruita nel 1902 che dai giardini di Augusto porta a Marina Piccola, la Villa Jovis di 7.000 metri quadrati di superficie, costruita per l’Imperatore Tiberio, che a 68 anni si ritirò in esilio volontario. Il Sovrano aveva escogitato un rapido sistema di trasmissioni visive per comunicare con Roma. Aveva fatto costruire, infatti, una serie di torri che facevano rimbalzare i segnali: di fuoco per la notte e di fumo per il giorno. I segnali arrivavano alla flotta imperiale che stazionava a Capo Miseno infine la Piazzetta che esisteva già ai tempi di Tiberio come naturale punto d’incontro di tutti i collegamenti con le varie zone dell’isola.
Nei giorni successivi sempre utilizzando l’aliscafo siamo stati ad Amalfi, che come Positano si erge su dirupi a picco sul mare dove nonostante tutto si coltiva l’ulivo, la vigna e gli ortaggi. Alcuni terrazzamenti sono stati creati con terra proveniente dall’Egitto, imbarcata sulle galere da 116 remi. Senza dubbio soltanto una grande potenza marinara poteva concedersi questo lusso altrimenti improponibile. Considerando che siamo a sud dell’Italia ci siamo meravigliati vedere ad Amalfi tante fontane, sembrava di essere ad Entracque, un fiume di acqua, anche in estate, attraversa il paese proveniente dal monte Agerola. Tanta acqua ha consentito lo svilupparsi della più antica Repubblica marinara d’Italia, i Mulini ad acqua e le fabbriche di carta ne sono due esempi.
Non potevamo mancare di visitare il Duomo con la sua imponente scala d’ingresso e la sua Cripta dove vengono conservate le spoglie del secondo apostolo di Gesù S. Andrea, traslate ad Amalfi da Costantinopoli in occasione della IV crociata nel 1206.
Se Napoli può vantare il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro, Salerno con S. Matteo, Bari con S. Nicola ed Amalfi con S. Andrea non sono da meno, in quanto nelle rispettive cattedrali si verifica un fenomeno altrettanto misterioso: la produzione della manna. Non si tratta di quella che, piovuta dal cielo, che sfamò gli ebrei in fuga dall’Egitto, ma di un liquido che trasuda dalle reliquie attraverso fenditure o canaletti, viene raccolta ed utilizzata dai fedeli con effetti benefici sui punti da curare. Ad Amalfi abbiamo visto il contenitore d’argento che raccoglie la manna di S. Andrea apostolo il cui miracolo si rinnova dal 29 novembre del 1304. Per qualche inesplicabile ragione, l’emanazione di manna sembra essere legata solo alle reliquie dei Santi “traslate” o dir si voglia “trafugate” dalla Terra Santa affinché non restassero nelle mani degli infedeli.
Prima di prendere l’aliscafo che ci ha riportato a Positano abbiamo letto una targa murata sulla principale porta di ingresso di Amalfi che riporta una frase scritta dallo scrittore toscano Renato Fucini, vissuto fino al 1921 non tenero con il Meridione d’Italia, il suo libro scritto nel 1878 “Napoli a occhio nudo” svergognava il Sud ma quando vede Amalfi si pente, si ricrede, s’innamora e scrive: “Per gli Amalfitani, il giorno che andranno in paradiso sarà un giorno come tutti gli altri: perché il Paradiso ce l’hanno già qui, a casa loro”.
In tutto il periodo che siamo stati a Positano andavamo sovente a cenare nel ristorante denominato Chez Black, il nome del locale ci incuriosiva in quanto unisce il termine Chez di lingua francese e Black di lingua inglese. Abbiamo subito pensato e non ci sbagliavamo che sotto questo nome poteva esserci una storia che vado a raccontare. Negli anni sessanta Salvatore Russo incontra una ragazza inglese . Questa ragazza si innamora di Salvatore chiamandolo per la prima volta Black, dal colore della pelle scura luccicante del giovane di Positano. Il nome Black fa presa su tutti: parenti, amici, ospiti tanto che all’ora del pranzo, non si diceva “andiamo da Peppino”, che era il nome del ristorante del padre, ma “andiamo da Black”.
Quando il padre si dedica esclusivamente all’albergo di famiglia, Salvatore incomincia a valutare la possibilità di chiamare in modo diverso il ristorante.
In quel periodo i giovani di Positano ed i turisti trascorrevano il tempo dalla mattina alla sera nelle vicinanze del ristorante posto felicemente di fronte alla “Spiaggia delle Sirene” ascoltando l’unico juke-box del paese con le canzoni ancora adesso attuali: “Sapore di sale”, “Legata da un granello di sabbia”, “Malatia”, “Ballata di una tromba”. Era uno dei pochi diversivi al bagno di mare e l’unica occasione per “abbordare” le turiste. L’appuntamento che i giovani italiani davano alle ragazze italiane era appunto “stasera da Black” cioè dal nero come era ormai chiamato Salvatore Russo. Con le straniere si faceva invece sfoggio del più familiare francese, si diceva appunto “Ce soir…ci vediamo…Chez Black”
Nel 1963 nasce “Chez Black” dopo lunghe incertezze dovute alla perplessità di questo nome, mezzo francese, mezzo inglese, perché solo Black era poco o niente
Era nato un nome che in breve si sarebbe imposto nel mondo gastronomico anche fuori dei confini regionali.
Qui finiscono gli appunti di una bella vacanza nel sud Italia.
Gennaro Russo
ottobre 2002
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