Cuneo 7 maggio 2010
La battaglia dell’Assietta del 19 luglio 1747, da quel giorno diventerà famoso il termine piemontese Bogia nen
Sono quasi certo che non tutti conoscono la storia che è nascosta nell’espressione piemontese bogia nen.
Fino a qualche anno fa, ero uno di questi, poi la mia passione per la storia piemontese mi ha portato a documentarmi ed ho così scoperto quello che non avrei immaginato. Le due parole sono l’epilogo finale di una sanguinosa battaglia combattuta in Piemonte passata alla storia come la “Battaglia dell’Assietta” e che adesso vado a raccontare.
È l’ultimo episodio di rilievo della Guerra di Successione Austriaca
Si combatte tra Francia e Spagna da una parte e il Regno di Sardegna ed impero austriaco dall’altra. Dopo la battaglia che avvenne il 19 luglio 1747, il termineBogia nen diventerà famoso.
Giova ricordare che la Guerra di Successione Austriaca, coinvolse quasi tutte le case regnanti d’Europa, ebbe origine come conseguenza dei dissidi insorti nel 1713 sui diritti di successione al trono del Sacro Romano Impero, quando l’Imperatore Carlo VI, privo di eredi maschi, designò a succedergli la figlia primogenita Maria Teresa con la famosa “prammatica sanzione“, mediante la quale modificava una legge vecchia di secoli, la “Lex salica”, che, escludeva le donne dalla successione al trono imperiale.
Non tutti i Sovrani d’Europa, però, riconobbero la validità di quel Editto. Alla morte di Carlo VI si costituirono in tal modo due schieramenti, tra i quali scoppiò poi la guerra.
Contro Maria Teresa d’Austria: Francia, Spagna, Prussia ed i grandi elettori di Baviera e di Sassonia.
In favore di Maria Teresa: Austria, Inghilterra, Paesi Bassi ed il regno Sardo-Piemontese.
Il 19 luglio 1747 il Piemonte era schierato in favore di Maria Teresa d’Austria, quindi contro Francia e Spagna.
A darsi battaglia, in quel lontano luglio del 1747, saranno però soltanto i Francesi contro i Piemontesi e gli Austriaci, anche se all’invasione, per la parte francese, parteciparono due battaglioni Spagnoli inseriti nella colonna del comandante D’Escars. Ma sul campo di battaglia non arrivarono mai. Il 15 luglio erano a Bardonecchia, ma nei giorni seguenti questa colonna si smarrisce nelle difficoltà della montagna; dopo la battaglia, alla quale in nessun modo partecipa, ripara al di là della frontiera.
Quel giorno Francesi e Austro-Piemontesi se le dettero di santa ragione. D’ora in avanti, per brevità, indicherò solo il termine Piemontesi.
Luogo dello scontro l’Assietta
I Francesi pensavano di invadere il piccolo Regno di Sardegna passando dalla Val di Susa e dalla Val Chisone ma questo disegno fu scartato in quanto il Re Sabaudo Carlo Emanuele III aveva fortificato i due passaggi tramite il Forte di Exilles e il Forte di Fenestrelle, per cui furono obbligati a tentare di valicare il colle dell’Assietta, che era l’unico non difeso.
Questo colle, situato a 2566 metri, sulla dorsale del contrafforte di separazione delle due valli della Dora e del Chisone è in generale pianeggiante, facilmente praticabile e ha parecchie strade mulattiere che l’ attraversano. Il controllo della strada consentiva di poter intervenire rapidamente in una valle o nell’altra.
Re Carlo Emanale III, avuto sentore che i Francesi del Re di Francia Luigi XV (1710-1774) avrebbero tentato questa strada, ordinò, in questo luogo, dei trinceramenti che furono allestiti, in gran segreto, con grande celerità e di presidiarli con 13 battaglioni di fanteria, però privi di artiglieria così suddivisi: 9 battaglioni dell’armata Piemontese di cui 4 di mercenari svizzeri e 4 battaglioni di Austriaci, in totale poco meno di 7500 uomini comandati dal Conte Giovanni Battista Cacherano di Bricherasio.
Va segnalato che l’idea di Re Carlo di difendere due valli (Susa e Chisone) occupando l’interposto monte (Colle Assietta) non era una novità in quanto già tre anni prima, in Valle Varaita, era avvenuto qualcosa di simile.
I Francesi erano determinati a farla finita una volta per tutte con il Re Sabaudo Carlo Emanuele III, anche perché venivano da una bruciante sconfitta subita a Cuneo dove, il 30 settembre 1744, pur vittoriosi nella Battaglia di Madonna dell’Olmo, non riuscirono ad espugnare la città fortificata (6° assedio di Cuneo).
Il luogo scelto della nuova invasione in Piemonte fu definito in seguito ad una disputa tra Francesi e Spagnoli. Quest’ultimi, su idea del generale Iberico La Mina e anticipando la manovra napoleonica del 1796, prevedeva di penetrare in Piemonte dalla Riviera Ligure. I francesi volevano avanzare direttamente dal Delfinato. Alla fine fu scartata la soluzione che, 49 anni dopo, porterà tanta fortuna a Napoleone Bonaparte così i franco-spagnoli si preparavano ad invadere il Piemonte dalle Alpi. Affrontarono la disfida schierando 32 battaglioni, ossia un po’ più di 20.000 uomini.
Preparazione per la battaglia che avvenne il 19 luglio 1747
Nella sanguinosa battaglia di quel giorno si arrivò all’episodio in cui furono pronunciate le due parole che danno il titolo a questo scritto: Bogia nen.
Le posizioni degli austro-piemontesi
I Piemontesi occupavano una zona vastissima per le poche forze disponibili, che si estendeva per più di due chilometri a semicerchio dalla Testa dell’Assietta a quella del Gran Sèrin, seguendo le forme del terreno.
Tremila operai, dal 29 giugno 1747, furono impiegati per erigere piccole opere di difesa, come muri a secco della larghezza di circa 85 cm e alti tra 1,10 a 1,30 metri, che si rivelarono poi la chiave di successo della vittoria.
Fu creato un trinceramento continuo di pietre e di legname che collegava alcune opere più importanti, ma improvvisate e non ancora perfette.
Furono costruite due ridotte quella della Butta alla Testa dell’Assietta e quella del Serano sul Gran Sèrin.
All’accesso alla Testa dell’Assietta era stata predisposta una vera trappola costruita da capimastri biellesi della valle d’Andorno, consistente in un imbuto sovrastato da due muri a secco per lato, composti di massi inframmezzati da travi e mobili di legno, che fecero franare per ben due volte sui francesi che avanzavano sotto la continua fucileria dei Piemontesi.
Lo stratagemma fu così apprezzato che ai capimastri di Andorno fu concesso il privilegio di pronunciarsi per ultimi negli appalti per la manutenzione delle fortezze sabaude.
Le posizioni dei Francesi
Come si è detto, i Francesi per aggirare gli ostacoli frapposti dal Forte di Exilles e dall’ancora incompleta, ma già temibile Fenestrelle, tentano di forzare il passaggio dal Colle dell’Assietta, ma, come vedremo, sarà una scelta infelice.
Il comando delle forze Francesi era stato assegnato al cavaliere Armand Foquet di Belle-Isle nato nel 1693, fratello più giovane del Comandante in capo di tutta l’Armata francese in Italia, Charles Louis Auguste Fouquet, Conte di Belle-Isle (1684-1761) diventato Duca nel 1748.
Gli storici concordano che il cavaliere Belle-Isle dovesse l’onore di essere posto a capo della spedizione al solo fatto di essere fratello del Maresciallo!
Come previsto, il 15 e 16 luglio del 1747 il Belle-Isle passò l’alta valle di Susa con 32 battaglioni. Il Generale divise i suoi soldati in tre colonne.
A sinistra 7.000 uomini dal Maresciallo di campo Mailly, sarebbero scesi dal versante Dora, e avrebbero attaccato i trinceramenti di Riobacon e il pianoro del colle.
Al centro 6 battaglioni e 14 compagnie di granatieri in totale 3.000 uomini al comando dello stesso Belle-Isle e del Maresciallo D’Arnaud, dovevano proseguire sulla linea di cresta in direzione delle fortificazioni più avanzate della Testa dell’Assietta, cioè alla Ridotta della Butta.
A destra 14 battaglioni, circa 10.000 soldati, sotto il comando del Luogotenente Generale Villemur avrebbero tentato una manovra di aggiramento delle difese piemontesi, passando sul versante della valle del Chisone e puntando direttamente sul Gran Sèrin.
La tattica del Belle-Isle era fin troppo evidente: egli voleva impegnare di fronte e di lato i difensori dell’altopiano dell’Assietta e, con l’ala destra numericamente più consistente, eliminare la difesa del Gran Sèrin, tagliando la via della ritirata alle truppe austro-piemontesi.
Alle ore 10 del mattino del 19 luglio 1747, i Francesi si trovano così a 500 metri dai nemici; devono però aspettare che il Villemur raggiunga la posizione di schieramento e questa attesa non gioverà ai transalpini.
La battaglia
Alle ore 16 una batteria francese comincia ad aprire il fuoco sulla Testa dell’Assietta, dove era posizionato il 1° Battaglione del Reggimento delle Guardie, rinforzato dalla Compagnia Granatieri del Reggimento Casale.
Mezz’ora dopo si registra il furioso assalto dei francesi verso le posizioni dei Piemontesi.
La lotta infuria selvaggiamente, in particolare di fronte alla ridotta della Butta, i Francesi cominciano la scalata della tenaglia arrampicandosi sui corpi dei loro compagni feriti o uccisi, poi tutti trapassati con le baionette.
Nella breve corsa sotto il tiro dei fucili Piemontesi, gli assalitori perdono molti soldati e molti sfuggono al massacro riparandosi sotto i trinceramenti. Ma i Piemontesi salgono in cima ai parapetti colpendo i più vicini con spade e baionette e i più lontani con le pietre.
Il cavaliere Belle-Isle, fermo a cavallo sull’altura dove sono posizionate le artiglierie, è spettatore di questa accanita tenzone, però comanda ed esorta le due colonne.
Il fuoco di sbarramento dei Piemontesi è talmente notevole, che ai piedi dei trinceramenti i Francesi fanno mucchio di sé: è una strage terribile. Allora il Belle-Isle scende da cavallo, afferra una bandiera, si scaglia innanzi ferocemente al grido “Le voilà dans la terre du Roy!” ma un colpo di baionetta gli trafigge il braccio, autore il soldato Gio. Batta Ellena di Giovanni della Chiusa Pesio di Cuneo, nome di guerra La Ciusa (La Chiusa). Successivamente Gio. Domenico Adami fu Giovanni di Cortanze di Cervere, nome di guerra Adam scocca una palla nel petto del generale e lo stende morto.
Va precisato che molti storici affermano che l’Ellena e l’Adami erano granatieri: invece erano comuni fucilieri, il primo della compagnia colonnella ed il secondo della seconda colonnella. Vedere annotazione finale
Gli storici sostengono altresì che il cavaliere Armand di Belle-Isle aveva affrontato il nemico con la speranza di guadagnare sul campo il bastone di Maresciallo di Francia, come si è visto, non seppe essere un grande stratega, seppe almeno morire con coraggio e dignità.
Il corpo di Belle-Isle fu riparato sotto una tenda pietosamente apprestata dagli stessi Piemontesi.
La morte del Belle-Isle, che aveva da poco superato i 54 anni, non mette però fine alla battaglia: eccitati dal suo esempio, i Francesi si lanciano in avanti per vendicare il loro comandante caduto, ma tutto è inutile. Cade morto anche il maresciallo D’Arnaud, l’aiutante di Belle-Isle.
I 14 battaglioni del Luogotenente Generale Villemur nel frattempo si stavano avvicinando al Gran Sèrin (la sua vetta è a 2600 metri, separa la valle della Dora da quella del Chisone ed è il tratto più elevato e dominante dell’Assietta). Questa notizia arriva nel campo piemontese creando non poco sgomento negli animi di tutti.
La colonna del maresciallo Villemur prosegue ed è ormai arrivata a poca distanza del Gran Sèrin.
Il comandante piemontese, Conte Bricherasio, conscio che la perdita del Gran Sèrin, su cui operavano i 4 battaglioni mercenari svizzeri, sarebbe stata una rovina irreparabile, chiama a raccolta tutte le truppe, l’ordine è esteso anche alla Testa dell’Assietta, dove il Comandante del Primo Battaglione Guardie, Ten. Col. Paolo Navarino, Conte di San Sebastiano, tiene e continuerà a tenere la difesa.
Il San Sebastiano, come risposta a questo primo ordine, invierà dall’Assietta, in soccorso alla difesa del Gran Sèrin, parte delle proprie truppe, al comando dei due generali che erano con lui: Alciati e Martinengo.
Ma ben presto la difesa del Gran Sèrin diventa sempre più problematica, così che il Conte Bricherasio è costretto ad inviare un nuovo ordine, ed è il secondo, di sgomberare la Testa dell’Assietta per correre a rincalzo dei difensori del Gran Sèrin.
Ma il San Sebastiano manda a dire al Bricherasio che se mai fosse stato a suo posto alla Testa dell’Assietta non avrebbe accettato l’ordine di sgomberarla e quindi non ubbidisce agli ordini.
In pratica agisce contro la volontà del proprio comandante superiore Bricherasio, ai giorni nostri sarebbe un fatto da corte marziale!
Questo rifiuto passerà poi alla storia come “Il rifiuto di San Sebastiano”.
Il Bricherasio, stizzito, manda al Ten. Col. Paolo Navarino un nuovo ordine di ritirata, è il terzo, questa volta scritto con la frase “penser à mènager une retraite” (pensate al modo come ritirarvi) che arriva nel momento in cui i Francesi si accingevano ad un nuovo assalto alla Ridotta della Butta dell’Assietta.
Allora il Nostro, “eretto nella gagliarda persona, con l’accento di chi sa l’importanza solenne dell’atto che compie, grida ai suoi soldati le memorabile parole”: “ In faccia al nemico non possiamo volgere le spalle!”
Queste parole del coraggioso ed indomabile Ten. Col. Paolo Navarino Conte di San Sebastianopasseranno poi alla storia con una frase più ad effetto ovvero: “nojàutri ì bogioma nen da si!” (noi non ci muoviamo da qui), che col tempo cambia in: bogia nen chiaramente di più facile comprensione per tutti e dal sottoscritto in particolare!
È inutile dire che questa frase, pronunciata dal San Sebastiano, fu accolta con un grido di gioia dai Granatieri Piemontesi che rimasero volentieri a fare da baluardo sulla Ridotta della Butta (era la parte più avanzata del sistema di trinceramenti dell’Assietta), fieri di averla così valorosamente difesa fino allora e che ritenevano impegnato il proprio onore a non lasciarla cadere nelle mani degli avversari.
L’impeto degli assalitori Francesi fu comunque disperato e la brigata francese d’Artois lasciò davanti al muro a tenaglia 905 tra morti e feriti: una vera mattanza.
La fortuna arrise ai Piemontesi i quali, alla fine, salirono tutti sui parapetti dei trinceramenti salutando con soddisfazione il precipitoso dileguarsi dei Francesi.
Intanto il Bricherasio ha, con altrettanto valore, respinto il terzo assalto contro il Gran Sèrin.
Così la grande battaglia, denominata poi da tanti storici “La battaglia del Piemonte”, finisce in una memorabile vittoria per le armi Piemontesi.
Dopo cinque ore di strenua resistenza sul pianoro dell’Assietta, le truppe francesi sono infine costrette al ritiro. Le forze rimaste sotto il comando del maresciallo Villemur vengono condotte stremate e il 22 luglio sono già al di là delle Alpi battute dal piccolo esercito piemontese.
Perché i Francesi furono sconfitti.
I francesi persero la contesa in quanto attaccarono i Piemontesi impreparati, con scarsa o quasi nulla artiglieria, senza scale o almeno fascine per fronteggiare l’assalto. Inoltre cercare testardamente la conquista della tenaglia e della “rientranza” della Butta dell’Assietta aveva comportato il sacrificio inutile di migliaia di fanti francesi; meglio sarebbe stato sviluppare in quelle direzioni soltanto un attacco dimostrativo ed indirizzare tutti gli sforzi sul Gran Sèrin, dove, in effetti, il Villemur stava per sfondare.
Intervennero anche altri fattori che condizionarono l’esito della contesa.
Il Belle-Isle fu portato a sottovalutare le difese dell’Assietta perché non ebbe a disposizione informazioni precise su cosa si sarebbe trovato davanti.
La popolazione dell’alta valle della Dora, che dimostrava ancora di essere di sentimento francese (fino al 1713 facevano parte del regno di Francia), fu lasciata volutamente all’oscuro dei preparativi che si stavano realizzando sull’altipiano. A tutti fu interdetta l’area attorno all’Assietta.
Totale delle perdite
Nello scontro tra 20.000 Francesi invasori e i 7.500 Piemontesi difensori le perdite furono notevoli.
Soltanto il giorno successivo fu possibile rendersi conto di quale immane sacrificio di vite umane si era trattato.
I Piemontesi rimasero allibiti di fronte al numero straordinario di morti e feriti che giacevano davanti alle loro ridotte.
Alla fine, nei trinceramenti dell’Assietta e Gran Sèrin tra morti e feriti ci furono più di 5.000 francesi tra ufficiali e gregari contro 219 Piemontesi. Tra tutti i libri che ho letto queste cifre concordano raramente, comunque la sostanza fu quella.
Conseguenze della vittoria
La sanguinosa resistenza dei soldati sabaudi proiettò per la prima volta il piccolo Regno di Sardegna tra i grandi protagonisti della politica europea; una sconfitta avrebbe decretato la fine del Regno.
L’anno successivo, nel 1748, con il trattato di Aquisgrana, il Piemonte ottenne i territori intorno al Lago Maggiore e al Ticino, che saranno i confini fino alla seconda guerra di indipendenza del 1859.
Di quella battaglia così cruenta, avvenuta in quel lontano 1747, i ricordi rimangono tuttora vivi, tanto che ogni anno, alla terza domenica di luglio, sull’Assietta si rievoca la storica difesa del colle con centinaia di figuranti e centinaia di spettatori che giungono al valico, situato a 2472 metri, percorrendo la stretta carrozzabile che collega la valle di Susa a nord e quella del Chisone a sud.
Nel 1882 il CAI fece costruire sulla Testa dell’Assietta, dove era la Butta tenacemente difesa dai Granatieri delle Guardie, il monumento obelisco che commemora l’avvenimento.
Indipendentemente da questa suggestiva rievocazione storica, le due parole bogia nen verranno ricordate ancor di più, e chissà per quanti anni ancora in tutto il Piemonte e non solo.
Nelle mie ricerche storiche ho creduto che questo appellativo deriva forse anche dalle parole del Generale Conte Giovanni Battista Cacherano di Bricherasio per tranquillizzare i suoi superiori sulla tenuta delle truppe, pare abbia risposto “Sté tranquij, da sì noi bogiuma pì nen”.
Dalle controversie che ci furono tra il comandante Conte Giovanni Battista Cacherano di Bricherasio e il Comandante del Primo Reggimento Guardie, Ten. Col. Paolo Navarino Conte di San Sebastiano sembrerebbe più logica la frase detta da quest’ultimo: “nojàutri ì bogioma nen da si!” che col tempo è cambiata in: bogia nen.
Queste due parole saranno quelle adottate come soprannome dei soldati Piemontesi e in seguito dei Piemontesi stessi, assumendo poi negli anni anche l’accezione peggiorativa riferita a un’eccessiva refrattarietà ai cambiamenti.
Invece il suo significato è ben preciso: di fronte a qualsiasi difficoltà i Piemontesi non indietreggiano.
Gennaro Russo
Principale bibliografia:
Legenda
Austro-Piemontesi: < Piemontesi – Regg. Guardie; < Piemontesi – altri Regg.; < Austriaci
Francesi: < Francesi
Una doverosa precisazione sui due soldati che ferirono e uccisero il capo dei Francesi il cavaliere Armand Foquet di Belle-Isle
Si tratta di:
Soldato Gio. Batta Ellena di Giovanni della Chiusa di Cuneo, nome di guerra La Ciusa (La Chiusa) che aveva trafitto con un colpo di baionetta il braccio del capo delle forze Francesi il cavaliere Armand Foquet di Belle-Isle nato nel 1693, fratello più giovane del Comandante in capo di tutta l’Armata francese in Italia, Charles Louis Auguste Fouquet, Conte di Belle-Isle (1684-1761).
Soldato Gio. Domenico Adami fu Giovanni di Cortanze di Cervere, nome di guerra Adam scocca una palla nel petto del generale e lo stende morto.
Molti storici affermano che l’Ellena e l’Adami erano Granatieri: invece erano comuni Fucilieri, il primo della compagnia colonnella ed il secondo della seconda colonnella.
A fare questa affermazione sono gli stessi Granatieri.
La notizia è riportata nel libro in mio possesso scritto dal Maggiore Domenico Guerrini dal titolo è “I Granatieri di Sardegna: memorie storiche dal 1659 al 1900” stampato nel novembre 1991, Si tenga conto che a quel tempo un Battaglione era formato da nove Compagnie di Fucilieri ed una di Granatieri.